IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
- Il Dislessico
- 7 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 10 apr 2020
Di Lorenzo Artegiani
È ormai passato più di un mese dall'inizio di questa quarantena, un periodo di estremo isolamento, ma che potrebbe essere utile per accrescere la nostra consapevolezza.

Questo millennio si è aperto in modo abbastanza fortunato per il mondo occidentale. Non tutto è roseo, ma la cosa certa è che il secolo scorso si può dividere, con una certa supeficialità, in due periodi: uno funestato da due guerre mondiali, l’altro dalla minaccia di una terza. E poi ci siamo noi, noi nati negli ultimi 20 anni nella parte più ricca del mondo, e magari anche benestanti. Noi non abbiamo mai conosciuto fame, conflitti, privazioni, violenze, persecuzioni. Certo c’è il global warming, ci sono le guerre, c’è il terrorismo, esiste ancora l’estrema povertà, ma per lo più queste cose le ignoriamo, ogni tanto le guardiamo in TV e al massimo ne parliamo in assemblea, se proprio ci interessa e non abbiamo interrogazioni il giorno dopo. Sta procedendo tutto normalmente, quindi per il meglio, e a un certo punto qualcosa che sembra essere abbastanza minaccioso oltrepassa la barriera dei nostri schermi: veniamo a sapere che è un virus proveniente dalla Cina e che è sempre più vicino. Non passa più di qualche settimana e ci ritroviamo chiusi in casa; nessuno sa cosa fare, gli esperti danno risposte contrastanti e intanto iniziano a morire delle persone. Questo invasore ha oltrepassato le nostre chiacchiere, i nostri meme e adesso si permette addirittura di ap portare modifiche alla nostra esistenza. Noi giovani non corriamo rischi gravi, ma questo non è rassicurante: pericolo o non pericolo, per noi la pandemia di Covid-19 è il primo evento che svela la fragilità del mondo. Questo è sconvolgente. Ancora più sconvolgente però è il fatto che ora come ora siamo costretti non all’industriosità, come chi di solito vive le crisi, ma alla riflessione. Non dobbia mo procacciarci il cibo o sfuggire ad un bombardamento; il nostro sforzo è portato a rimettere insieme la realtà quotidiana che ci sta vacillando sotto i piedi. Recede in te ipse insomma, ma come? La fragilità che ci ha destabilizzato l’hanno portata i mass media, e questa è la primissima volta che per questi proviamo un interesse non dell’intelletto ma viscerale, inerente a qualcosa che ci riguarda ora e subito. Il primo modo di riarmonizzarci al mondo sarà quindi cercare un nuovo approccio ai collegamenti tra noi e lui: vedere con occhi nuovi le informazioni che ci arrivano. Il nostro punto di vista si deve sforzare di escludere l’emotività prima di tradursi in prassi: va bene proteggersi dal contagio, non va bene svaligiare supermercati e farmacie in cerca di provviste e mascherine, va bene essere vicini alle vittime di questa tragedia, non va bene condividere continuamente articoli che acuiscono la preoccupazione. Insomma informarsi è possibile così come acquisire consapevolezza, ma è importantissimo scegliere con cura i propri mezzi per farlo, cercando un equilibrio tra il disinteresse e l’isteria, tenendo soprattutto a mente che in questo periodo di disorientamento essere manipolati è più probabile che mai. Veniamo poi ai doveri. Prima dell’isolamento gran parte del tempo era occupata dallo studio, che si imponeva sulla nostra vita in modo egemonico, obbligandoci a certi ritmi, a mantenere una media, ad organizzare i compiti in modo che non turbassero l’equilibrio settimanale. Dal 7 marzo in poi la situazione si è capovolta: non ci sono più voti, né orari, i compiti non ce li controlla quasi nessuno, le stesse lezioni sono arrivate dopo almeno due settimane e non vedono più garantita alcuna regolarità. Complice di tutto questo è l’informatizzazione dei sistemi scolastici che, buttata più volte fuori dalla porta, è ritornata con prepotenza dalla finestra. Non perdere l’allenamento è molto complesso dato che tutto dipende dalla nostra responsabilità individuale, valore a cui non siamo mai stati educati per via di un sistema amministrativo sfiancante da un lato, disorganizzato dall’altro. Ci tiene poi all’erta l’esame di maturità che, in questa assenza di punti fermi, rimane l’unico momento di verifica di studio, ma anch’esso è avvolto da un’aura di dubbi e non costituisce un forte deterrente al disimpegno. Insomma, siamo stati catapultati improvvisamente nel mondo reale, dove nessuno ci tiene a brac cetto, dove alla scarsa fatica corrispondono scarsi risultati sempre e comunque, dove, infine, dobbiamo dare fondo a tutta la nostra volontà per uscirne non solo illesi, ma rafforzati grazie alla consapevolezza di essere fragili.
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