Così Lontani, Così Vicini
- Il Dislessico
- 25 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 giu 2020
Di Anna di Piramo
Dopo che il lockdown e le centinaia di migliaia di positivi e di morti hanno ridisegnato la fisionomia delle nostre vite, la curva dei contagi inizia ad appiattirsi e il mondo inizia a pensare a quella che si potrebbe chiamare “seconda fase”, la fase della riapertura e della ricostruzione. Ma cosa significa e come verrà attuata? È cruciale una riflessione su questi temi.
Ultimamente, da ogni parte del globo si ricorre alla metafora bellica in riferimento all’emergenza aperta dal Covid-19. È una deriva pericolosa, storicamente destinata al disastro e all'esercizio dell'oppressione, che potrebbe portare a conseguenze disastrose una volta conclusa l'emergenza. In questo nuovo e distorto immaginario guerresco, utilizzato per giustificare scelte assai discutibili, ad esempio l'utilizzo del comparto militare come mezzo di disciplina sociale, si presuppone che il nemico da combattere sia il virus. Ma forse c'è un problema di prospettiva. Il vero nemico non è il virus, ma le cause che ne hanno permesso il proliferare. Come dice in un’intervista Pepe Mujica, ex presidente uruguayano, “Non siamo in guerra, questa è una sfida che la biologia e la Terra ci pongono per ricordarci che non siamo i proprietari assoluti del mondo, anche se così ci sembra. Questa crisi talmente grave può servire per ricordarci che i problemi globali sono anche i nostri problemi”.
La storia è un susseguirsi di “shock”, guerre, disastri naturali, crisi economiche, e delle loro conseguenze. È ormai cosa nota che il sistema capitalistico usi lo shock per trarre profitto proprio dalle crisi. È questa la tesi di Naomi Klein, che parla del capitalismo dei disastri, “il capitalismo è sempre stato disposto a sacrificare la vita su larga scala per il profitto”, come strategia adottata per imporre nuove politiche che vanno sempre più dividendo il mondo e aumentando le disuguaglianze. “Le élite politiche ed economiche capiscono che i momenti di crisi rappresentano l’occasione di far emergere la loro lista dei desideri di politiche – affatto popolari – in grado di polarizzare ulteriormente il benessere all’interno di questo Paese e in tutto il mondo”. Lo scenario disegnato dal Covid-19 e da un mondo terrorizzato dal contagio apre proprio ad una di queste occasioni, ovvero quella di strumentalizzare la confusione creata dall’emergenza, in modo da massimizzare il profitto, sia economico che politico.
Da un altro punto di vista, proprio la diffusione del virus ha messo a nudo, forse come mai prima d'ora, la debolezza delle strutture economiche e politiche di un mondo regolato e governato dal capitale. Se da una parte il Covid-19 apre ad un discorso di opportunismo che potrebbe definitivamente imporre l'immagine di un mondo spaccato a metà, dove i pochi salvaguardano il loro profitto a scapito dei molti, facendo di essi l'elemento sacrificabile, dall'altra il colpo assestato dal virus al sistema economico mostra come sia possibile intraprendere una nuova via. Il coronavirus ha reso possibile quello che sembrava impossibile da immaginare. Nelle parti più svariate del mondo, quel sistema economico globalizzato, che a detta dei più era una locomotiva in continuo movimento, senza possibilità di rallentare o deragliare, è stato improvvisamente arrestato.
Non solo, il virus ha portato alla luce i problemi tutti i problemi strutturali di un sistema reso vulnerabile proprio dal suo asservimento al libero mercato. Il continuo taglio ai fondi destinati alla sanità è un esempio evidente a questo proposito. Oggi, per fronteggiare il disastro, lo Stato dovrebbe avere, invece, il coraggio di liberarsi dal ruolo di semplice soggetto che asseconda la libera impresa e tornare a coincidere con le persone, preoccupandosi non più della salute dei mercati, ma della sopravvivenza dei suoi cittadini e della salvaguardia dell’ambiente. Come ha scritto Will Hutton sul Guardian: “Oggi una forma di globalizzazione senza regole del libero mercato, con la sua propensione per crisi e pandemie, sta morendo. Però ne sta nascendo un’altra, che riconosce l’interdipendenza e il primato dell’azione collettiva basata sull’evidenza dei fatti”.
Il coronavirus ha cambiato la nostra percezione del mondo, sospendendone le regole fino a creare un effetto di sospensione. È un virus che ha mutato il volto della nostra società, aprendo ad uno scenario ancora indecifrabile. Ad essere stato colpito è uno stile di vita dedito alla cancellazione della morte, volto ad evitare il confronto con essa. Al contrario, il virus ci ha costretto a riflettere sulla nostra condizione umana e sulla nostra fragilità, costringendoci a ritornare ad aree del pensiero da tempo atrofizzate. Non solo, ha anche spinto alle estreme conseguenze le contraddizioni del nostro sistema, fino ad aprire due possibili scenari. Quello della vittoria definitiva del mostro dello sviluppo industriale, dove l'isolamento regna sovrano insieme alla politica del controllo esercitata dalla tecnologia, come se la sorveglianza globale potesse davvero essere la risposta al virus, e dalla tirannia del consumo. E lo scenario in grado di far rinascere un corpo sociale liberato dall’oppressione del mercato e del consumo, dove si può ridisegnare un mondo sostenibile. È importante dunque esser coscienti che su come avverrà la ripartenza del mondo, l'umanità si gioca il suo futuro. Come auspicato dal filosofo francese Pierre Charbonnier, questo è il momento di aprire le porte all'immaginazione e sfidare la produzione stessa attraverso l'invenzione di un nuovo socialismo. Questo è il momento di riappropriarci dei nostri desideri, di ragionare sul significato di ciò che è essenziale per noi.
Quel che oggi è diventato evidente è che, per quanto si ostinino a cercare di controllare il virus, il capitale e la politica sono impotenti di fronte all'imprevedibilità di un agente del caos che sta aprendo ad un mondo completamente diverso, dove la società va ritrovando il senso che aveva perduto, dove va nascendo una nuova idea di unità e di comunità. "Il coronavirus ci costringerà a reinventare un comunismo basato sulla fiducia nella gente e nella scienza", come sostiene Slavoj Žižek, uno degli intellettuali che ha fatto della lotta al sistema la sua ragione di vita. Per Žižek, il coronavirus è un’arma segreta puntata contro il capitalismo, come "una sorta di attacco della tecnica dell'esplosione del cuore con cinque colpi delle dita - usata da Beatrix, la protagonista del film Kill Bill 2". Diventa allora necessaria, come dice Žižek, la diffusione capillare di un altro tipo di virus, "il virus del pensiero di una società alternativa, una società al di là dello stato-nazione, una società che si aggiorna nelle forme di solidarietà e cooperazione globale". Per liberarci definitivamente dalla logica dell'individualismo sfrenato, che, come ci ha mostrato chiaramente il Covid-19, porta solo alla solitudine della morte, si dovrebbe riabbracciare il concetto di comunità, di koinonia, di unione (koinè), dove nessuno è indipendente dalla comunità e dove il destino di tutti viene definito dalla comunità.
Comments