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The Lightouse By Robert Heggers

  • Immagine del redattore: Il Dislessico
    Il Dislessico
  • 7 apr 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 13 apr 2020



Di Gianluca Lione

Epico, inquietante, contorto; sono tanti gli aggettivi con i quali si può descrivere questo film, ma nessuno gli può fare veramente giustizia.

"The Lighthouse” è tutta un’emozione, un torrente in piena che sempre di più diventa fiume straripante e mischia le curve fra di loro facendo sembrare quasi che torni indietro, fino alla montagna, e che ricominci daccapo.

Robert Eggers è sempre stato famoso per entrare dentro alle sue storie, per curarne ogni singolo dettaglio e arricchirle di mitologia, di idee, di ipotesi e teorie. Infatti in questo film nessuna scelta è casuale: il bianco e nero e l’inquadratura 4:3 sono finestre nell’ideazione del regista, che ha voluto portare il meno possibile, perché la conoscenza è solo raggiungibile attraverso un’astrazione dello spettatore.

Ephraim Winslow (Robert Pattinson) raggiunge un faro in mezza alla nebbia, sulla costa del New England, ove si unisce a Thomas Wake (Willem Dafoe), un anziano guardiano che si occupa solo della luce; tutto il resto, come trasportare il carbone, pulire la cisterna e altri lavori manuali è lasciato al giovane nuovo arrivato. La forzata convivenza fra i due, un anziano marinaio (per quanto dice di sé stesso) despotico nei comandi ed incomprensibile nella lingua ed un giovane uomo “da foresta” che proviene dal Canada occidentale, abituato alla libertà e alla discussione, porterà Ephraim a dubitare di tutto ciò che vede, catapultandolo verso il baratro della pazzia.

Molto sarebbe da dire sul finale, che è unico nel suo genere ed aperto ad interpretazioni, ma per apprezzare veramente il film bisogna vederlo senza alcuna idea di cosa starà per accadere, quindi – no spoiler.

La mia personale chiave di lettura però orbita attorno a due ipotesi.

La prima, che si nutre dell’amore visibilmente provato da Robert Eggers verso la letteratura e mitologia greco-romane, è che il regista abbia compiuto una fusione tra i personaggi mitici di Proteo e Prometeo. Proteo era una divinità marina detentrice di tutta la conoscenza. Nell’Odissea e nella mitologia aveva la peculiarità di essere un mutaforma, cioè poteva cambiare aspetto; inoltre non poteva mentire. Prometeo, ben più conosciuto nella cultura popolare, è il rappresentante della tracotanza umana, che in questo film si declina nella ricerca della conoscenza.

Questi miti sono rivisitati e riproposti, raccontando una storia rasente alla pazzia più disincarnata. La lanterna del faro, che fin dalla prima scena illumina la nebbia che blocca lo sguardo umano, è quindi la conoscenza, tuttavia non solo nella sua accezione più positiva; la conoscenza distrugge l’animo umano, lo priva di consapevolezza di sé ed in ciò causa una dipendenza. L’atto di tracotanza di chi sale le scale per raggiungere il calore della luce, proprio come Prometeo saliva i cieli per rubare il fuoco, è contrapposto dal detentore e protettore del faro, che deve salvare la conoscenza dal pazzo; tuttavia, nel difendere la lanterna, trasforma lo stesso pazzo in una reincarnazione di se stesso.

Proprio da ciò giunge un senso ciclico della storia, mia seconda ipotesi: vari indizi suggeriscono che Ephraim e Thomas siano la stessa persona, uno sventurato Prometeo condannato ad un ciclo di reincarnazione e di pazzia infinito, i gabbiani sono le sue aquile, il faro la sua rocca; tuttavia è al medesimo tempo un Proteo, protettore della distruttiva conoscenza e comunque suo soggetto.

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