THE END: Take Care of Yourself
- Il Dislessico
- 2 giu 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Di Lorenzo Artegiani
“Chi sono io? Chi sono io? Chi sono io?”
Questa è una domanda che ci assilla da quando apriamo per la prima volta i polmoni, piangendo, a quando ce ne andiamo via dalla vita; infinite e infinite volte ci assilla ogni giorno e infinite volte ha assillato quelli che sono venuti prima di noi.
Si può affermare che tutte le scoperte umane provengano da questo interrogativo, da quando a due mesi ci infiliamo in bocca oggetti di ogni tipo fino alla meccanica quantistica, anche questo articolo e il motivo per cui tu lo stai leggendo sono a loro modo una scoperta.
Secoli e secoli di sistemi filosofici, di domande sull’universo, di grandi esperimenti ed equazioni e siamo da punto a capo; tra tutti questi eventi, nel 1995 è uscito in Giappone il primo episodio di un cartone animato, Neon Genesis Evangelion, che inaspettatamente, grazie a tantissimi fattori, cerca di mettere un punto in questa infinita scoperta e battaglia con noi stessi.
Non sono certo il primo, né il più autorevole, ad affermare che questo anime potrebbe essere uno dei contributi fondamentali alla storia del pensiero, quindi cercherò di non dilungarmi in noiosissime apologie, perché Evangelion, più che da lodare, è qualcosa da cui è necessario riprendersi.
Abbiamo detto che in ogni opera di intelletto si cela una domanda su se stessi, quella che stiamo trattando, di opera, non si discosta dalla regola: per mettere in scena la lacerazione del suo io, Hideaki Anno e lo studio di animazione Gainaz mettono in piedi un’impalcatura abbastanza fatiscente.
Shinji Ikari, orfano di madre e abbandonato dal padre, è richiamato da quest’ultimo nella cittadella militare Neo-Tokyo 3 per affrontare, a bordo dell’unita Eva 01 (un gigantesco robot umanoide), gli angeli, creature aliene che, dopo aver causato la quasi estinzione dell’umanità, sono tornate per finire il lavoro.
Ventiquattro dei ventisei episodi della serie originale saranno dedicati a questo apparente obbiettivo, a cui fa da cornice un’escalation drammatica verso la vera conclusione di tutto.
Un riassunto che non rende molto giustizia, ma che sotto la classica atmosfera mecha nipponica, svela già un personaggio estremamente traumatizzato e un rapporto molto problematico.
Dentro Evangelion si può trovare davvero ogni cosa, dalla Cabala alla filosofia dello Spirito, dal transumanesimo alla psicologia Freudiana; se ne può fornire un’analisi registica, tecnica, culturale, filosofica o religiosa, ma è proprio la natura del rapporto umano a costituirne l’ossatura, e a fare di questa un tutt’uno con la domanda da cui siamo partiti.
“Crescere in fondo è un continuo provare ad avvicinarsi e allontanarsi l'un l'altro, finché non si trova la distanza giusta per non ferirsi a vicenda.”
La vicenda di Shinji, così come quella del padre Gendo o di Asuka e Rei, è segnata dal famoso “dilemma del riccio”, introdotto da Schopenauer, ovvero l’incessante ricerca di un modo per avvicinarsi gli altri senza ferirli e ferirsi per via dei propri “aculei”.
Tale processo scolpisce la personalità di ognuno portandolo ripetutamente a soffrire, ad isolarsi, a riprovare un approccio e soffrire di nuovo: una specie di Odissea, dove il dolore non proviene dal mare o dai mostri, ma dall’altro.
Altro: quella parola che, unita ad io, genera un rapporto. per tutta la durata dell’anime, ma anche per buona parte della nostra vita, questo termine si associa al desiderio, all’incomprensione, alla sofferenza.
Ora abbiamo tutti gli elementi cardine di questa vicenda, analizzandoli, non possiamo non definire Evangelion un’opera esistenzialista, come non potremmo?
L’io è buttato nel mondo senza volerlo e senza volersene separare, l’altro è sconosciuto, illeggibile, alieno, il loro rapporto un eterno patire, odiarsi e non comprendersi; è davvero questa l’unica prospettiva che possiamo assumere?
È nell’ottica di tale domanda che la grandezza della serie spunta fuori, questo perché Eva è probabilmente la prima opera della storia non solo a fornire una risposta, ma a rappresentarla attraverso uno “stratagemma narrativo”: il perfezionamento dell’uomo.
Il perfezionamento dell’uomo è l’abbattimento di tutte le barriere individuali, per concentrare l’umanità in una sorta di essere divino (dai tratti averroisti) in cui tutte le coscienze risiedono saldate tra loro.
Questo progetto costituisce l’autentica motivazione per cui la più superficiale lotta agli angeli va avanti, e verso la fine della serie sembra avvenire secondo la volontà ineluttabile di chi lo ha tramato, ma qualcosa va diversamente.
Nel culmine dell’unione, al protagonista viene offerta una scelta, che potrà compiere dopo aver vissuto l’esperienza di tutti gli uomini: frenare il processo e oppure lasciare che si concluda.
Anche per ragioni di ristrettezze economiche lo studio Gainax sceglie, sulle prime, di rappresentare in modo estremamente criptico ed astratto la fusione dell’intero genero umano, visto come un flusso di coscienza dei protagonisti che, confrontandosi con gli altri personaggi, riescono finalmente ad andare oltre la propria prospettiva e combattere i loro demoni.
“Chi sono io?”, “Io mi odio”, “Gli altri mi odiano”
Ancora una volta si presenta questa irrisolvibile inquietudine che ci accomuna tutti, ma proprio un cambiamento di prospettiva offre una momentanea soluzione.
Del resto, se è vero che l’esistenza umana è indesiderata e segnata dal dolore, che la distanza che ci separa dagli altri è incolmabile, è comunque possibile cambiare prospettiva e vedersi diversamente.
“Io... mi odio. Però... forse potrei riuscire a piacermi. Forse potrei riuscire a esistere. Ma certo! Io non sono altro che io. Io sono io, voglio essere io! Io voglio stare qui! Per me è possibile esistere!”
“io sono io”, ben lungi dall’essere una tautologia, questa frase è la soluzione alla sofferenza che ci attanaglia tutti. Certo la distanza con gli altri può far soffrire, ma la nostra esistenza non è necessariamente segnata da ciò.
L’esistenza è solo e soltanto esistenza, siamo noi a decidere liberamente come comportarci rispetto ad essa, vedendo gli altri non più come fonte di dolore ma, magari, come qualcosa da scoprire e di cui essere incuriositi: è tutta una questione di prospettiva.
Così, quando finalmente si comprende che il rapporto non è solo sofferenza, ma anche occasione di gioia, crescita, ricerca, realizzazione e pace, la scelta è compiuta, il sipario si chiude e resta solo una cosa da dire.
“Grazie e Congratulazioni”
E anche a tutti voi che avete letto il mio ultimo articolo dopo cinque anni sul Dislessico, dico grazie.
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