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Con Cicatrici Visibili e Invisibili

  • Immagine del redattore: Il Dislessico
    Il Dislessico
  • 7 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 13 apr 2020




Di Anna di Piramo

“Tu hai semplicemente paura, ragazzo.”

Ho ripensato a questa frase, tratta da “Ragazzo Negro” di Richard Wright, afroamericano, nato nel 1908 e cresciuto nel profondo Sud statunitense, qualche giorno fa, mentre assistevo ad una scena che mi ha fatto riflettere. Alcuni miei compagni di scuola stavano discutendo a proposito di uno dei luoghi comuni tanto in voga oggi nelle piazze salviniane, ma non solo. Parlando e scherzando a proposito di un oggetto rubato hanno affermato con convinzione: “è la prima volta che non è un negro” – sì, hanno detto proprio negro – “a rubare”, come a dire che basta il colore della pelle a determinare le azioni e la morale di una persona. Infatti, è più facile criminalizzare, odiare o demonizzare l’Altro che affrontare le proprie paure. Perché in casi come questo è di paura che si tratta, una paura che ci porta a non ragionare e a continuare a prendere scorciatoie, la paura del diverso. Che poi, a ben vedere, tanto diverso non è: a prescindere dal colore della pelle, alla fine tutti proviamo la stessa paura. Difatti, quando Wright scrive “tu hai semplicemente paura, ragazzo”, non si riferisce ad un bianco, ma parla della paura provata da un nero nell’affrontare un mondo dominato dai bianchi. E allora forse, per uscire dall’ottica ristretta in cui spesso ci ritroviamo a vivere, bisognerebbe leggere libri come questo. Libri capaci di dischiudere nuovi orizzonti e magari farci capire che, allo stesso modo del percorso formativo descritto da Wright, per conquistare la propria dignità, per affermare la propria presenza al mondo, bisogna aver il coraggio di affrontare le proprie paure.

Ragazzo negro, autobiografia di Richard Wright scritta nel 1945, copre un arco di circa quindici anni, dall’inizio degli anni ’10 ai tardi anni ’20, e parla di un giovane nato in una realtà dominata dall’uomo bianco, che ha come unico scopo quello servirsi di lui fino all’ultimo, e per i lavori più umili e mortificanti. Da Richard ci si aspetta che debba rassegnarsi ad imparare a conoscere il posto e i limiti in cui la società lo confina, cioè la ridicolaggine e il lavoro. E soprattutto deve sapere che se mai osasse alzare la testa, competere con i bianchi, bramare una vita diversa, dimenticando il colore della sua pelle, la ricompensa sarebbe solo una punizione violenta e umiliante. E così, è costretto a vivere ogni giorno nel terrore di compiere un passo falso, di non rispettare quel ruolo che non solo i bianchi, ma anche gli stessi neri, lo costringono a indossare. Il libro inizia con una violenta immagine: il piccolo Richard che, giocando con il fratellino, incendia completamente la sua casa. E da allora, Richard dovrà soffrire una disavventura dopo l’altra: il padre lo abbandonerà, la madre cadrà gravemente malata, la famiglia dovrà vagare di cittadina in cittadina per problemi economici. Ma sarà proprio grazie ad ognuna di queste vicende, seppur dolorose e strazianti per lui, che Richard crescerà e diventerà uomo, imparando ad affrontare e sconfiggere le proprie paure, le proprie debolezze e le proprie insicurezze. Con uno stile semplice, lineare e impeccabile, Wright si identifica subito con il più debole, respinto ed emarginato dalla società, posizione, però, che diventerà il suo punto di forza.

A emergere dal libro di Wright, oltre alla costante paura nel relazionarsi con ciò che è nuovo e diverso (una paura non troppo lontana da quella che, secondo me, ispira il razzismo dei nostri giorni), è l’accettazione, da parte dei neri, dello stato di inferiorità e segregazione nei quali sono confinati. Prima la madre e poi la nonna, attraverso la religione, provano a soffocare quel desiderio di ribellione che divampa in Richard, ma invano: Richard non ha mai accettato, e non accetterà mai, il modello di comportamento imposto dal sistema. Nel suo percorso, infatti, la cosa più preziosa che capisce, e che tutti noi, ancora oggi, non dovremmo mai dimenticare, ma la dovremmo imparare e continuare ad insegnare agli altri, è che “gli uomini debbono essere in grado di guardare in faccia gli altri uomini senza timore o vergogna”.

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