top of page

Il Pendolare

  • Immagine del redattore: Il Dislessico
    Il Dislessico
  • 11 apr 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 13 apr 2020

Di Andrea Rinaldi

Il treno si fermò alla stazione di Valle Aurelia col suo solito stridio, coprendo la vista degli studenti che tornavano a casa, con i loro zaini rossi o neri o con trame mimetiche, coperti di giacconi e sciarpe; Valerio si alzò dalla panchina e salì su quel gigante sbuffante. Trovò tre posti vuoti vicino a un uomo che avrà avuto venticinque anni al massimo: un elegante montgomery nero copriva il suo busto magro, pantaloni di velluto dello stesso colore le gambe lunghe ed altrettanto esili e lasciavano poi il posto a scuri mocassini lucidi. In direzione opposta, sul collo irrequieto, circondato da una sciarpa rossa con una bella trama scozzese, posava una testa allungata, coperta da una giungla nera e scarmigliata, che evidentemente l’uomo non aveva nemmeno provato a pettinare quella mattina. Dal viso pallido non spuntava un pelo, la pelle era lucida, morbida e ben curata, il naso piccolo e sottile; i suoi grandi occhi ambrati, resi ancora più lucidi e dilatati dagli occhiali a montatura rotonda e sottile, ma con lenti spessissime, portavano in sé una gamma di emozioni vastissima: erano curiosi, consapevoli, sempre emozionati, irrequieti e costantemente alla ricerca di qualcosa. Valerio si sedette davanti all’interessante Pendolare senza una parola, mentre questi lo salutò con foga. “È uno di quelli”, soffiò Valerio tra sé, scocciato. Voleva solo andare a casa, era stata una giornata deludente, come quelle prima. Perché era fatto così? Perché era così poco interessante, affascinante, estroverso? Perché di fronte a qualsiasi persona nuova impallidiva e non riusciva a parlare? E ai problemi che già aveva in ambito di amicizia, si doveva pur aggiungere... «Fammi indovinare», lo interruppe il Pendolare. «Ti piace una ragazza, o forse un ragazzo, ma non riesci a farti avanti perché ti intimidiscono le relazioni sociali, e ti intimidisce ancora di più trovarti davanti una persona rispetto a cui ti ripeti inferiore in praticamente ogni ambito. E, ciliegina sulla torta, ogni volta che la o lo vedi parlare con altre persone stai lontano per paura di dar fastidio e rovinare tutto. Corretto?». Valerio tacque. Gli tremavano le mani; come aveva fatto? Aveva indovinato tutto. Annuì timidamente. «Vorrei poterti dare un suggerimento qualsiasi, ma purtroppo la magia dell’amore non mi ha mai toccato e non penso che lo farà mai», disse il Pendolare, dopo una risata. «Sono sette anni che ogni mattina prendo un treno diverso; vado ovunque, anche in altre città. E nei miei viaggi mi diverto a osservare gli altri passeggeri. Ogni mattina vedo facce diverse, con alcuni riesco a parlare e imparo qualcosa di nuovo sul mondo. Sicuramente ho imparato molto sulle persone. Non sai quanto uno sguardo dica di qualcuno, finché non vivi come me. Ho visto persone di tutti i tipi, di alcune ho avuto pena, di altre invidia. Ma alla fine torno sempre a concludere che l’abitudine morbosa e la dipendenza - di qualsiasi tipo - siano la cosa più vicina alla morte intellettuale, e non mi pento più di aver scelto questa vita che non mi dà mai due volte la stessa esatta emozione», dalla sua bocca usciva un fiume di parole e, se Valerio dapprima era scocciato, adesso si trovava ad ascoltare con interesse. Si accorse che da quando lui era sul treno il Pendolare stava scarabocchiando parole, con una calligrafia oscena, su un taccuino ad anelli vecchio, ingiallito, rovinato e pieno di fogli volanti. Gli faceva tenerezza, sembrava che lì dentro ci fossero i ricordi di tutta la sua vita sui treni. «Senti, come ti chiami, giovane?», chiese il Pendolare, e Valerio si presentò, per poi rifare la stessa domanda. «Non è importante il mio nome. Tanto non mi vedrai mai più, dopo questo viaggio. Ma io ai nomi dei miei compagni di viaggio ci tengo. Se un giorno mi venisse il grillo di scrivere di loro, voglio che non siano solo involucri vuoti, ma personaggi veri e propri», spiegò. «Viaggiando così ho scoperto molto sulle emozioni umane. Hai mai notato come siano tutte così al tempo stesso immediate e orribilmente durature?», chiese, cambiando subito argomento. Valerio pensava di capire cosa intendeva, ma voleva che il Pendolare si spiegasse meglio. «Voglio dire, a volte quando torno indietro dai miei viaggi rivedo le stesse persone che avevo trovato all’andata. E riguardandole in volto le trovo sempre uguali a prima, eppure diverse. Una volta vidi una ragazza che piangeva perché il fidanzato l’aveva lasciata. Era disperata. Al ritorno, era con le sue amiche e rideva e anche se all’apparenza più superficiale sembrava felice... l’ho guardata negli occhi, e tra le pieghe delle sue belle iridi riconoscevo facilmente una tristezza infinita. Ci sono più livelli di emozione, è impossibile definirsi “tristi” o “felici” momentaneamente, a meno che non riconosciamo che è soltanto lo strato più superficiale del nostro umore», disse quello. «Hai ragione», convenne Valerio, «L’uomo in sé, invece, funziona al contrario. Ogni persona che conosciamo all’apparenza è sempre uguale, la riconosciamo ogni volta come la stessa persona, ma ogni giorno ognuno di noi muore per rinascere subito, solo lievemente cambiato. Come la chioma di un albero, sembra vivere ogni volta allo stesso modo, non riusciresti mai a trovare alcuna differenza tra i fiori di ciliegio di questa primavera e i fiori dello stesso ciliegio della primavera che arriverà tra vent’anni, o cinquanta. Eppure sono diversi», spiegò. Il Pendolare annuì energicamente. «Sai chi mi ricordi, Valerio? Un altro ragazzo che ho incontrato su questa stessa tratta, prendendo il treno di mattina. A volte ci ripenso ancora, era uno dei passeggeri più interessanti che abbia incontrato. Di sicuro il più ben disposto nei miei confronti. Indossava questa mia stessa sciarpa, poi, visto quant’era distratto, l’ha lasciata sul sedile... vorrei tanto ridargliela ma, ahimè, ancora non l’ho rincontrato. Ricordo alla perfezione il viaggio con lui. Per quasi metà della sua durata mi ha parlato di un libro che aveva appena finito di leggere, “Narciso e Boccadoro”, perché nessuno voleva ascoltarlo a riguardo. Parlava di come quel libro l’avesse colpito profondamente. Spesso apriva le note del telefono e buttava giù qualcosa. Provava a scrivere poesie e racconti, ma non si reputava affatto bravo. Quel giorno doveva essere particolarmente arrabbiato con qualcuno, o forse con il mondo in generale, perché ha più volte ribadito quanto l’umanità sia stupida e quanto i comportamenti degli uomini siano sbagliati...», il Pendolare si perdeva nel racconto. «Scusa, ma perché non provi a rincontrarlo?», chiese Valerio, interrompendolo. L’altro scosse la testa con forza. «No, no! Va assolutamente contro la mia etica. Dovrei riprendere lo stesso treno», rispose. «Non apprezzo nemmeno i più piccoli sgarri. Un altro che incontrai in treno mi ha raccontato di come aveva miseramente provato a smettere di bere. Si era promesso di bere solo in occasioni speciali come feste, poi ha avuto la fortuna o la sfortuna di trovarsi a più feste di fila e… beh, il resto è storia. Quando noi stessi ci diamo un ordine, ci limitiamo, sgarrare una volta ma con regola ci fa sentire potenti e vogliamo farlo ancora e ancora. Se io una volta rivedessi il ragazzo dalla sciarpa scozzese pensi che non tornerei più e più volte su quello stesso treno? Ed ecco che la regola del Pendolare vagabondo crollerebbe!». Non aveva tutti i torti. «E non ti manca nessuno dei passeggeri con cui hai parlato? Nemmeno sciarpa-scozzese? Nemmeno io ti mancherò?», incalzò il ragazzo. «Beh, certo, mi mancherete. Ma che importanza ha? Anche quel ragazzo era d’accordo con me su questo: non importa quante volte ci si incontra con una persona, che sia un solo viaggio di mezz’ora o un decennio speso insieme. Le persone dimenticano, vanno avanti. Immagina quanto dev’essere difficile la vita per me! Ricordo quasi ogni passeggero cui abbia rivolto la parola, anche se ci ho parlato per soli tre minuti, e molto probabilmente la maggior parte di loro non si ricorda nemmeno del buffo Pendolare che li ha importunati! Pensa se dovessi vivere incontrando più di una volta quegli stessi volti, pensa se dovessi aggiungere nella mia mente ancora più ricordi che mai si potranno ripetere e che so che, un giorno, svaniranno dalla mente di coloro con cui li ho condivisi! No, non si può fare. Sono già sceso da quel treno, non rivedrò mai più il ragazzo dalla sciarpa scozzese. E mi avrà già dimenticato, anche lui. Anche se pure lui denunciava la gente che dimentica...», il Pendolare si fece un po’ più cupo. «Scusa, non volevo renderti triste», disse Valerio, sentendosi in colpa. «Io non credo che il ragazzo dalla sciarpa scozzese ti abbia dimenticato. Anzi, forse oggi sta scrivendo di te tra le note del suo telefono, o lo ha già fatto», provò a rassicurarlo. «Come si chiamava?», chiese poi, il Pendolare fece per rispondere: «Il suo nome era...», ma poi si accorse che il treno era giunto alla sua fermata. «Ah! Devo andare. Valerio, è stato splendido parlare con te. Che un giorno il destino ci faccia rincontrare! Au revoir!», gridò, poi saltò con le sue gambe lunghe giù dal treno. Solo quando le porte si furono richiuse Valerio si accorse del vecchio taccuino che il Pendolare aveva dimenticato sul sedile, e una gran tristezza lo assalì.

Comments


bottom of page