Forse un Giorno
- Il Dislessico
- 9 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Di Elisa Bigiarelli
“Chissà se anche io potrò fare le stesse cose”, pensava Camilla mentre in prezioso silenzio ascoltava l'adorata nonna ricordare il suo passato. Erano sole nel portico della grande villa di famiglia e osservavano la pioggia cadere e posarsi sul terreno circostante, ormai divenuto fangoso. Pioveva, pioveva a dirotto, ma non faceva freddo, c'era un caldo afoso che rendeva l'aria quasi pesante da respirare. «Sai, Milla, ai miei tempi ad Agosto c'era il sole tutto il giorno e, anche con la pioggia, uscivo con la mia compagnia per ridere e scherzare fra noi, seduti sul muretto della chiesa di San Marco», diceva la nonna a Camilla, che con uno sguardo visibilmente curioso e impaziente le chiedeva di dirle di più. Lei sorridendo prendeva a raccontare. Un sorriso affettuoso quello della nonna, ma con una punta di amarezza. «Quando ero più giovane ho visto tanta parte di quello che tu oggi chiami mondo. Viaggiavo continuamente, da sola e, qualche volta, con tuo nonno. Lasciavamo insieme la nostra grande casa, che lui aveva costruito con suo padre circa venti anni prima, in parte a malincuore, in parte impazienti di scoprire quanto altro ancora c'era fuori dal nostro paesino. Una volta andammo a Parigi, oh che città Parigi, è meravigliosa, Milla. Abbiamo camminato lungo la Senna, siamo saliti sulla Tour Eiffel e mangiato crȇpes mattina e sera. Dicono che quella città sia magica, e posso dirti che è vero. C'è qualcosa nelle luci che brillano quando sul giorno cala la notte, qualcosa nel profumo dell'aria, un'atmosfera avvolgente, che come un abbraccio ti riscalda e ti fa sentire a casa». A Camilla luccicavano gli occhi. «Dimmi di più nonna, dimmi di più!». «Una mattina ci siamo svegliati con la folle idea di raggiungere l'Australia e vedere i canguri. Abbiamo preso un aereo e, dopo sole cinque ore, siamo partiti alla volta del continente. Pensa, eravamo talmente felici e presi dall'eccitazione che ci siamo dimenticati di prendere la macchina fotografica! Purtroppo non abbiamo foto di quel viaggio, ma i ricordi valgono molto di più, non dimenticarlo mai». La nonna fa un respiro profondo e il suo sguardo sembra farsi cupo. Camilla non lo nota, anzi, coglie l'occasione per porle una domanda: «E i canguri li avete visti nonna? Forse potrò vederli anche io un giorno!». La nonna annuisce, ma non parla; sul suo volto torna quel sorriso affettuoso, con una punta di amarezza. La nipote le chiede di raccontarle qualcun'altra delle sue avventure e lei, quasi a fatica, ricomincia a parlare. «Ricordo quella volta in cui, circa a venticinque anni, decisi di partire da sola e raggiungere l'India. La storia di questo paese mi aveva sempre affascinato, fin dai tempi della scuola, e sapevo di una leggenda, quella di Ganesh. E' una sorta di divinità che ha forma di elefante, considerata portatrice di buoni auspici. Una volta arrivata lì, camminando per le colorate strade del luogo, vidi uno di questi animali passarmi di fianco: sembrava guardarmi negli occhi. Una gentile ragazza mi disse che ero molto fortunata poiché gli elefanti difficilmente osservano chi hanno intorno. Forse era vero, forse no, chi può mai sapere se le leggende sono vere, dico bene?». Camilla è meravigliata ed esclama: «Forse un giorno potrò vederlo anche io un elefante nonna!». La nonna annuisce, ma, di nuovo, non parla. Ora tra le due cala il silenzio. La mente di Camilla inizia a viaggiare, cullata dal rumore della pioggia che, intanto, si era fatta più fitta e bagnava il legno della casa, rendendolo più scuro. Immagina se stessa, da grande. Abita in una villa maestosa, con un enorme giardino. E' mattina, gli uccelli cantano e l'odore del caffè preparato da suo marito le addolcisce il risveglio. Si alza dal letto con una strana voglia di cambiamento. Ripensa a quel pomeriggio di Agosto in cui, seduta nel portico di casa, ascoltava in religioso silenzio i ricordi della nonna. “Chi può mai sapere se le leggende sono vere” le aveva detto lei. Camilla decide di scoprirlo: prepara le valige e, con suo marito, si reca all'aeroporto per raggiungere l'India. Colori sgargianti, profumi singolari e stupendi edifici la circondano mentre cammina per le strade di Mumbai. Ad un tratto, mentre era immersa nei suoi pensieri, la voce di un uomo la interrompe. Era seduto sotto un grande albero da cui pendevano dei nastri arancioni. Gliene porge uno, dicendole di legarlo intorno ad un ramo ed esprimere un desiderio. Secondo la leggenda questo si sarebbe avverato e lei avrebbe, poi, dovuto sciogliere il suo nastro e tenerlo con sé per sempre. Camilla si avvicina all'albero e, seguendo le istruzioni di quell'uomo, esprime un desiderio, quello di avere l'opportunità di viaggiare per il mondo tutta la vita, senza, però, dimenticare mai chi è e da dove viene. Chissà, forse sarebbe tornata in futuro a Mumbai a sciogliere il suo nastro.
Ha smesso di piovere ed è calata la sera. La nonna si alza e raggiunge la cucina per preparare la cena. Piange. Camilla le ha raccontato del suo sogno di raggiungere l'India e, in futuro, viaggiare per il mondo proprio come aveva fatto lei da giovane. Chi avrebbe detto alla bambina che il futuro era così incerto da rendere anche il presente ormai insensato? Chi le avrebbe rivelato che si trovava in casa, in piena estate, perché uscire era ormai stato proibito da mesi? Che la quarantena che era stata imposta per la pandemia diffusasi quell'anno non aveva ancora avuto fine e che forse non l'avrebbe mai avuta? La nonna piangeva, Camilla sognava. Sognava un futuro radioso, con la sua famiglia ed i suoi amici. Chi le avrebbe detto che i suoi genitori erano in ospedale, malati, e che non era ancora stata trovata una cura? Che forse lei un futuro così radioso non lo avrebbe mai avuto e che non avrebbe forse mai legato il suo nastro arancione all'albero dei desideri? La nonna piangeva e Camilla sognava. “Chissà se anche io potrò fare le stesse cose”, pensava Camilla mentre in prezioso silenzio respirava l'aria che sapeva di pioggia, seduta nel portico della sua casa.
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