Coronavirus: Paura e Razzismo
- Il Dislessico
- 7 apr 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 13 apr 2020
Di Antonio Nicolini
Due sono le reazioni che rischiano di scaturire da una minaccia di pandemia: la negazione di un potenziale pericolo o una reazione tanto smodata quanto incontrollabile. La noncuranza iniziale tuttavia non esclude una successiva controreazione che, qualora si sottovalutasse il potenziale pericolo, rischierebbe di riversarsi sulla società come un fiume in piena.
Si è accesa una prima spia nel momento in cui, il 31 dicembre dello scorso anno, è stato segnalato da Wuhan (città da cui il virus è partito) un consistente numero di casi di polmonite con origine ignota, ma l’allarme vero e proprio è stato dato il 9 gennaio, quando le autorità sanitarie cinesi hanno riferito di aver identificato un nuovo virus.
Il coronavirus 2019-nCov (nome stabilito dall’OMS), paragonabile alla SARS (malattia nata anch’essa in Cina che ha dato luogo ad un’epidemia tra il 2002 ed il 2003), ha come sintomi principali febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Viene trasmesso per via aerea, dal contatto diretto o dal contatto con superfici contaminate. Da Pechino è stato comunicato che il virus possiede un tasso di letalità del 2-3% (rispetto allo 0,1% di una normale influenza o al 9,6% del SARS), che l’80% dei morti a causa sua ha più di settant’anni e che il 75% di questi era affetto da patologie preesistenti.
Il coronavirus ha scosso i mercati globali. La Cina ha un maggiore impatto sull’economia globale di Stati Uniti, Europa e Giappone messi insieme: le sue fabbriche sono diventate indispensabili per la filiera produttiva e i turisti cinesi nel 2019 sono stati 150 milioni. Il valore dei metalli industriali e del petrolio è crollato e al contrario è aumentato quello dell’oro, ambito insieme agli altri metalli preziosi in quanto bene di rifugio.
Lo stato attuale delle cose non è da sottovalutare ma, sebbene gli italiani siano quasi del tutto esenti dal pericolo, le reazioni di alcuni, che definirei nevrotiche, non possono essere giustificate dalla paura del contagio e dovrebbero essere evidenziate per quel che sono: episodi di razzismo. E questi , a scapito di cinesi e asiatici (turisti o residenti in Italia), si stanno moltiplicando: volantini che boicottano i negozi cinesi, insulti pesanti ad un tredicenne durante una partita di calcio, cartelli con la scritta “vietato l’ingresso ai cinesi” e fake news sui social network. Il fatturato dei ristoranti cinesi a Milano è calato del 50%.
Matteo Salvini continua ad insistere riguardo alla chiusura dei porti ed il coronavirus è diventato uno specchio per le allodole. A detta sua c’è il rischio che i migranti portino dall’Africa il virus, dal momento che negli ultimi dieci anni la Cina ha sostanzialmente “colonizzato” l’Africa. In Africa è stato confermato un solo caso di coronavirus (in Egitto) e l’OMS stessa ha dichiarato unanimemente che l’unica via per la quale il virus può raggiungere l’Italia è quella aerea.
La recente intolleranza verso i cinesi e gli asiatici ha dimostrato come per una buona parte di noi il problema non sia che i migranti africani “ci rubino il lavoro”, “contaminino la nostra religione” o “vivano a nostre spese”: le minoranze cinesi in Italia gestiscono attività commerciali, hanno diverse confessioni religiose e sono sempre state integrate. Nonostante ciò si sono verificati decine di casi di discriminazione. La paura di un virus non può giustificare il razzismo, come nessun’altra cosa può farlo.
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