top of page

Monologo di un Disertore

  • Immagine del redattore: Il Dislessico
    Il Dislessico
  • 7 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 11 apr 2020




Prema la fera, e il nembo tratti l’ignota spoglia;

e l’aura il nome e la memoria accoglia

(Giacomo Leopardi, Bruto Minore)

Il silenzio di questo buco dove mi trovo, ormai da diversi giorni, è interrotto da rumori brevissimi, quasi impercettibili se paragonati al flusso incoerente di pensieri che ho l’occasione di soppesare prima che vengano a prendermi.

Sono un debole, un meschino, un egoista, un ingrato; sono coerente, morale, eroico, sono un martire? È da diversi giorni che questi aggettivi mi mangiano la testa, mi consumano il cervello più di quanto tra qualche ora farà il piombo. I miei connazionali mi danno del bastardo traditore, la mia coscienza dell’eroe cristologico. Se mi basassi sull’idea che la verità è figlia del tempo saprei bene come definirmi, ma allora che senso avrebbe la mia stessa possibilità di farlo?

No, mi rifiuto di credere che questi miserabili randagi, che questi poveretti incancreniti dall’odio siano dalla parte della ragione; del resto non posso nemmeno pensare di possedere la verità assoluta, io che sembro aver dato alla sopraffazione un rifiuto così deciso…

Tra tutti questi appellativi che mi possono descrivere solo parzialmente, sento di possederne senza dubbio uno: io sono solo.

Sono solo perché ho scelto di esserlo. Poco mi sarebbe costato, in quest’epoca senza vergogna, mettermi un berretto sui capelli, un mitra sulle spalle e andare a macellare degli altri uomini per poi stramazzare a terra pure io. Eppure mi sono rifiutato di stare con la società e ho preferito stare solo: per queste quattro lettere mi si potrebbe, a buon ragione, considerare il più disumano in mezzo a questa masnada di assassini.

Perché mai? Sarei poco onesto a non ammettere che ci sia della paura in tutto questo, ma certo non paura della morte, come in molti pensano.

A pensarlo mi viene un po’ da ridere, abbracciare una fine certa e ignominiosa per timore di una solo probabile è illogico. Per quanto riguarda la morte altrui, lo ammetto: non posso fare a meno di sminuire il ribrezzo che mi suscita l’idea di portarla; non mi posso definire “buono” solo perché non spargo sangue.

La differenza tra un killer e un salvatore della patria è tutta questione di convenzioni, di fama, di sciatti idealismi.

In verità avevo paura di una cosa ben peggiore della morte, tanto orrenda da far rabbrividire il più coraggioso tra gli uomini.

L’omologazione.

In fin dei conti, sono capace di dare valore a qualcosa fintantoché mi riesco a distinguere da tutto; res cogitans e res extensa fanno il mondo. Ma nell’osservare là fuori quelle marce, quei cortei, quei fazzoletti sventolati, quelle divise tutte uguali, quel giubilo di festaioli incoscienti che accompagna al fronte gli uomini come requiem, non c’è nulla di separato.

Ho visto solo mucchi, masse indistinte e monolitiche in cui ogni nozione di pensiero, di azione o di volontà annega nell’oblio del conformismo prima ancora che in quello del decesso.

Nei libri che si studiano a scuola ci sono sempre le stime dei morti di guerra: migliaia di numeri a cui ci sforziamo di dare almeno un volto, ma la triste verità è che non si può.

Più il tempo passa e più si dimentica, e quel fratello che non hai più rivisto diventa una foto sbiadita sul tuo comodino, poi nella tua soffitta, poi nella spazzatura e alla fine nulla, solo un'altra delle cifre che condannano l’irrazionalità di un’epoca.

La guerra mette gli Stati uno contro l’altro e riunisce tutti gli uomini sotto la bandiera del nulla.

Ma io, codardo ed eroe, eversivo e martire, io solo, io individuo, non sarò racchiuso, né concluso da un solo calcolo. Sono scappato dalla mia vita, e avrò per sempre qualcosa da raccontare.

Sento dei passi avvicinarsi.

Non ho un dio da pregare, ma mi dispiace non poter vedere un’ultima volta il cielo.

コメント


bottom of page